venerdì 5 giugno 2009

La teoria della coda lunga

L'altro giorno andando a fare colazione al mio solito bar, vedo il proprietario impegnato in una fitta discussione con i negozianti vicini. Il proprietario mi porge il giornale e mi chiede di leggere e di dirgli che cosa ne pensassi. Argomento della discussione era la situazione commerciale del centro storico: molti negozianti stanno abbandonando i locali, troppo cari se in affitto, per trasferirsi in periferia o chiudere definitivamente l'attività. La posizione dei negozianti presenti al bar (possiedono dei negozi di abbigliamento e sono proprietari dei locali) è che la scarsa attività commerciale che si ha in questa zona (via maqueda per chi è di Palermo) è da imputarsi principalmente alla pressocchè nulla possibilità di parcheggio e al fiorire di numerosissime attività condotte da extracomunitari, generalmente internet point o negozi di oggettistica etnica, che, a loro dire, squalificano la zona rendendola meno appetibile. La posizione del mio barista è totalmente diversa: egli sostiene che il problema sono i commercianti stessi che non propongono una mercanzia adeguata, soltanto prodotti scadenti; prova ne è che alcuni negozi che invece propongono merci più pregiate, avvalendosi anche di un nome storico, non hanno problemi di fatturato; quanto al parcheggio faceva notare come gli stessi negozianti si erano opposti più volte alla creazione di un'isola pedonale. Uno dei negozianti si rivolge a me e mi dice: "Se io vendessi una polo di marca diciamo a 100 euro, non ne venderei nemmeno una, perchè la gente che viene qui non ha i soldi per comprarla, se metto in vetrina una polo da 10 euro invece la compra". La posizione è plausibile, ma sbagliata a mio modo di vedere e lo faccio notare: "Se una persona non ha i soldi per comprare una polo a 100 euro e la cerca a 10 probabilmente ha i soldi per comprarne una sola, ma se può spendere 100 euro per una maglietta, magari ne compra più di una!". Gli faccio allora l'esempio del gelataio: ipotizzando che un gelataio ha lo spazio per vendere solo due gusti di gelato, non venderà gusti strani (zuppa inglese e pistacchio per esempio), ma cercherà di vendere quelli più popolari come cioccolato e nocciola o vaniglia. E continuo dicendogli che se hanno dei negozi piccoli, praticamente con piccolissima possibilità di magazzino, non dovrebbero vendere prodotti sconosciuti, ma invece puntare sulle marche più note e popolari, non necessariamente di lusso, quindi dal prezzo inavvicinabile, ma sicuramente più conosciute. Per contro vendere prodotti poco conosciuti o di nicchia può avere successo solo se i costi di immagazzinamento sono nulli. E' la teoria della coda lunga, quella su cui si basa il successo di siti come Ebay o Amazon. Dice in soldoni che i prodotti con maggiore popolarità sono i più venduti, ma che la somma delle vendite dei prodotti meno popolari popolari (la Long tail in giallo nella foto) può superare quella dei prodotti più popolari (Head, in rosso nella foto). Questo accade però solo se i prodotti offerti, appartenenti alla fascia gialla, sono numerosissimi. Ebay non vende prodotti di marca (si trovano anche, ma sono la minoranza), ma ha così tanta disponibilità di mercanzia (che non deve immagazzinare visto che è un negozio virtuale!) da avere volumi di vendità spaventosamente alti e guadagnarci. E' anche uno dei motivi (non l'unico) per cui le piccole botteghe alimentari hanno chiuso sconfitte dai supermercati: la maggiore offerta e il basso costo (dovuto agli sconti all'ingrosso ottenuti per gli alti volumi di richiesta) hanno di fatto messo in ginocchio le piccole botteghe. Temo che lo stesso avverrà anche per i piccoli negozi. Che fare dunque? Puntare sul lusso o sui negozi pop-up: cioè veri e propri negozi a scomparsa che fanno affari proprio perché hanno una vita brevissima. Si aprono generalmente in una strada importante del centro storico di una città e chiudono dopo quindici giorni al massimo. Motivo del successo? Vendono oggetti esclusivi per poco tempo: un orologio sulla porta d'ingresso annuncia l'imminente chiusura del negozio. non fanno nemmeno pubblicità, tutto si basa sul passaparola o su sms o, oggi come oggi: tramite eventi Facebook o Twitter.

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