mercoledì 5 marzo 2008

L'avvocato delle donne

Si è spenta questa notte Tina Lagostena Bassi. Credo che fosse nota ai più come 'il giudice donna' di "Forum", invece che per la sua straordinaria carriera in difesa dei diritti delle donne. Difese Donatella Colasanti contro Angelo Izzo nel famoso processo sul Massacro del Circeo. Fu tra le fondatrici del Telefono Rosa. Ebbe anche incarichi istituzionali, come quello di presidente della Commissione nazionale pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei ministri dal 1994 al 1995. Fu coautrice nel 1996 della legge contro la violenza sessuale. Le sue arringhe passarono alla storia: nel 1978 durante un processo per violenza carnale descrisse con termini asciutti, persino crudi, la violenza subita dalla sua assistita, rompendo un muro di silenzio e di conformismo che esisteva tanto nella società quanto nei tribunali italiani. Tina Lagostena Bassi difese una donna, ma accusò un modo di parlare all’interno del tribunale: quel lessico osceno, allusivo che dietro i termini latini (fellatio) contrabbandava la violenza come omaggio alla sessualità femminile se non addirittura come delega del potere sessuale dall’uomo (che abbandona il suo membro nelle fauci avide dell’altra) alla donna possibile castratrice che se non castra, non lotta con le unghie e con i denti, non imita le sante marie goretti della storia è sempre, per antonomasia, la preda conquistata e felice. Negli anni del processo lo stupro era ancora un reato contro la morale; c’era di mezzo la "libidine". La linea processuale era sempre trasformare l’imputata in una cattiva ragazza perché quelle buone e brave stanno a casa, non escono di sera, non fumano nei locali e non cercano lavoro. Fu lei ha introdurre, la parola «stupro». Tina Lagostena Bassi, nell’arringa, sottolineò la sua richiesta: non condanna esemplare o pesante, ma giustizia. Non la vita della vittima sul banco ma l’atto violento con cui la sua dignità ed il suo corpo sono stati violati. Qualunque risarcimento economico sarebbe un atto simbolico perché lo stupro non consente risarcimenti, è un’offesa che costa in modo incommensurabile, ma laddove un risarcimento economico sia in essere sarebbe stato devoluto alla Casa delle donne, al Centro antiviolenza di via del Governo vecchio 39, Roma. Gli imputati furono condannati a poco più di un anno, rilasciati immediatamente e multati per 2.000 milioni di lire. Ma la sentenza fu di condanna: commisero lo stupro. E questa sentenza è il riconoscimento di un rovesciamento di valori richiesto con forza da un nuovo tipo di avvocatura, da un nuovo modo di essere donna di fronte e dentro i luoghi maschili: dentro e fuori un tribunale.

2 commenti:

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