sabato 30 giugno 2007

Sidney Opera House: cronaca di un disastro annunciato

L'Unesco ha riconosciuto la Sidney Opera House, celebre opera di Jorn Utzon, come l'ottocentocinquantunesimo sito meritevole di essere considerato patrimonio dell'Umanità. Da tempo, per la verità, il teatro di Sidney è entrato nell'immaginario collettivo come "esempio paradigmatico" di architettura moderna, superato, solo recentemente, dal Guggenheim Museum di Ghery a Bilbao. La storia del teatro è poco nota ai non studiosi di architettura, ma merita di essere ricordata, poichè fa tristemente il paio con molte opere pubbliche incompiute di casa nostra.

L'idea di un teatro d'opera per Sidney era nei piani del governo australiano fin dal dopoguerra; quando Goossens divenne direttore dell'orchestra sinfonica di Sidney convinse il primo ministro John Joseph Cahill ad indire gennaio del 1956 tun concorso internazionale per una "National Opera House" da erigere a Bennelong Point. Leggenda vuole che fu Eero Saarinen, celebre architetto statunitense, giunto in ritardo ad una delle ultime sedute della giuria all’esame dei 233 progetti inviati da ogni parte del mondo, a ripescare tra quelli già scartati i fogli con il numero 218 e ad esclamare: "Signori ecco la vostra opera". Il 30 gennaio 1957, il Sydney Morning Herald pubblicava in prima pagina accanto alla foto e al nome del suo autore, una veduta del progetto vincitore del tutto fuori dai canoni stilistici consueti. Lasciando da parte le numerose critiche che in maniera diversa accolsero il progetto del futuro teatro australiano, quell'architettura si presentava in ogni caso, nella sua assoluta originalità, come un oggetto inclassificabile. Così, se qualcuno scorgeva in quell’inconsueta copertura, da subito riconosciuta come il segno forte di tutta la composizione, la somiglianza con il carapace di un curioso crostaceo, il suo stesso autore dichiarava di essersi ispirato piuttosto alle forme delle nuvole e un suo schizzo preparatorio ricordava anche delle onde sul punto di infrangersi, altri vi leggevano una citazione delle vele delle barche presenti nel porto. Utzon era un perfetto sconosciuto: numerosi dubbi sorsero circa le sue competenze tecnico costruttive, quindi consulente per le strutture fu nominato Ove Arup, ingegnere londinese già allora noto come esperto di costruzioni a guscio.

Nel marzo del 1959 a seguito delle incessanti pressioni del governo (si voleva iniziare a tutti i costi prime delle vicine elezioni) cominciano i lavori, nonostante i pareri negativi di Utzon e Arup che sostengono che il progetto sia ancora ben lontano dall'essere pienamente definito. L'inizio prematuro dei lavori, darà il via ai numerosi problemi costruttivi che costrelleranno l'esecuzione dei lavori. Infatti fino a quattro anni dall'apertura del cantiere Utzon non riesce a definire forme e dimensioni delle famose "vele". Nemmeno lo studio di Arup riesce a risolvere il complicato rompicapo: tutte la ipotesi di definizione delle geometrie dei gusci non danno i risultati sperati e non c'è modo di conciliare rispetto del progetto, esigenze statiche e, tecniche costruttive. Lo staff dello studio londinese alla fine degli inutili tentativi avrà lasciato sul campo ben 375.000 ore di lavoro. Finché Utzon nell'autunno del 1961 non ha un'idea distinta da un decisivo rigore geometrico, derivando tutti i singoli gusci della copertura, con le più svariate dimensione, dalla superfice di un'unica, medesima, sfera virtuale di raggio definito (75 metri). Si tratta della semplificazione estrema, delle incalcolabili geometrie variabili ridotte ai minimi termini di un'unica elementare geometria. Non solo diviene possibile prefabbricare con elementi di dimensione accettabile gli smisurati semigusci, ma soprattutto, l'insieme disaggregato delle forme singole, divenuto una variazione dell'identico tema, contiene, distintamente percepibile dall'osservatore, una perfetta unitarietà ereditata del proprio modello geometrico generatore: la sfera. "Così come vele di varie grandezze assumono tutte la stessa forma perchè alimentate dal medesimo soffio di vento, così le volte dell'Opera di Sydney, pur rimanendo frammenti nel tutto, ricavano unitarietà, equilibrio ed armonia dalla medesima sorgente formale della sfera che le ha generate".

Il danno era però è fatto, a causa di una sottostima del costo dell'opera, del forzato stop e delle soluzioni tecnologicamente avanzate (per l'epoca) si sfora pesantemente il budget iniziale (calcoli successivi mostrarono che l'opera sforò del 1400% !). Nel 1965 un nuovo governatore viene eletto, Robert Askin e Utzon si trova in forte conflitto con il nuovo ministro dei lavori pubblici Davis Hughes. Tentando di frenare i costi, Hughes mette in discussione i progetti, l'organizzazione dei lavori e le stime dei prezzi, arrivando a bloccare i pagamenti. Utzon si dimette e viene sostituito da un team di progettisti Australiani che, ridimensionando il progetto, portano a compimento i lavori nel 1973.

Nonostante i numerosi attestati di stima nei suoi confronti da parte dei colleghi che misero in evidenza come l'errore originale era da imputarsi ad una sottostima del costo dell'opera dovuta alla fretta di cominciare i lavori, Utzon pagò professionalmente queste dimissioni non riuscendo, per un lungo periodo, ad avere più incarichi professionali e comunque mai più nessun incarico di questa grandezza. Utzon partì dall'Australia la sera stessa delle sue dimissioni e non vi fece più ritorno; non ha mai visto ne visitato personalmente la sua opera più celebre. Nemmeno una medaglia accademica conferitagli dall'università di Sidney nel 2003, la consegna delle "chiavi della città" di Sidney e il premio Pritzker (il "nobel" dell'architettura) lo hanno convinto a ritornare in Australia. E' quantomeno paradossale che un edificio che ha caratterizzato così fortemente il profilo della città, tanto da essere usato come logo per le Olimpiadi del 2000, sia un ottimo esempio di come una non corretta programmazione dei lavori possa generare disastri. Nel caso della Sidney Opera House, in verità, si accumulano una serie di problematiche che vanno anche al di là della semplice organizzazione del cantiere:

  • questioni politiche, il primo ministro Liberale Cahill era più interessato a iniziare i lavori per potersene attribuire un diritto di "primogenitura" che ad altro; d'altro canto il primo ministro seguente, Laburista, doveva dimostrare l'inutilità e la velleità dell'opera
  • lo scarso peso di Utzon, giovane progettista sconosciuto, che dovette anche subire un forte ostracismo dalla comunità di architetti Australiani.
In questo bell'articolo, potete trovare un'approfondita analisi della questione e un interessante paragone con le scelte progettuali di un architetto contemporaneo del calibro di Ghery. Afferma quest'ultimo che il motivo per cui opere "faraoniche" come il summenzionato Museo di Bilbao, sono terminate in tempo e senza sforature di budget soltanto perchè non si sono mai cominciati i lavori fino a che anche i minimi dettagli costruttivi non fossero stati analizzati in profondità. Resta da capire quanto il peso della statura di Ghery abbia influito nei committenti in questa scelta. La corretta stima dei lavori in termini di impegno monetario e temporale è una questione complessa, ma troppo spesso, scarsamente affrontata e, soprattutto in Italia, ha lasciato molte opere pubbliche incompiute. sarei curioso di conoscere quanti addetti ai lavori hanno compreso la differenza tra un "cronoprogramma" e una "programmazione dei lavori" e quanti direttori di cantiere sappiano cos'è una WBS... Oggi poi se non ci limitiamo alle opere di nuova realizzazione, ma guardiamo al campo del restauro, il problema si complica ancora di più: come si fa un progetto esecutivo di un opera di restauro, se non appena si toglie il pavimento ad una qualunque chiesa si scopre qualcosa di inatteso?

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