I computer pensano?
Qualche giorno fa un mio amico mi ha chiesto come mai avessi come hobby quello di scrivere programmi che giocano a scacchi, suscitando un discreto interesse anche fra altre persone vicine a noi che non sapevano di questo mio passatempo. Non ricordo quale fu il preciso motivo che mi spinse ad avvicinarmi alla Computer Chess (letteralmente Computer Scacchi, branca dell'intelligenza artificiale e/o dell'informatica che si occupa della costruzione di macchine o di software che sappiano giocare a scacchi) forse vedere film come 2001 Odissea nello spazio o Blade Runner, forse per i libri di Asimov, Dick o Clarke che ho letto o forse perchè in tutti noi vive un piccolo dr. Frankenstein che " vuole farsi simile a Dio diventando egli stesso creatore". Più prosaicamente il venire a conoscenza dell' Ing Prize (un premio di oltre un milione di dollari per il primo programma di Go che sconfiggerà un campione umano) o l'ambizione di un premio Turing, non lo so davvero, fatto sta che l'idea che un computer possa replicare dei meccanismi logici come quelli umani, mi ha sempre affascinato. Una volta saputo il mio hobby le domande che generalmente mi pongono sono queste
- Ma un computer capisce che perde?
- Ma non puoi fare un programma che apprende dai suoi errori e diventa fortissimo?
- Ma se inserisco un problema di matematica nel computer mi può trovare la soluzione con tutti i passagi?
- A che serve?
Certo quelli meno svegli mi hanno anche chiesto (giuro!):
- Lavori per la Microsoft? Io odio Bill Gates!
- Io pure sono bravo ai videogiochi, me lo programmi un gioco per la playstation?
- Come muove le pedine sulla scacchiera? Ha un braccio meccanico?
- ho un problema con un virus non è che tu...?
- non riesco a collegare la stampante mi aiuteresti?
Al di là degli scherzi (ma domande simili mi sono state realmente poste) il primo approccio della gente verso i computer è strano. Si pensa che i computer risolvano problemi, quindi basta inserire i dati nell'elaboratore e aspettare i risultati. Ci vuole un po' per far capire che il PC fa solo calcoli ed esegue istruzioni, per cui se un essere umano (programmatore) ha creato un programma che permette al computer di eseguire determinate operazioni sui dati bene, altrimenti nisba! La domanda più interessante però è "a che serve?". Al di là del fatto che per me è un passatempo (a che serve collezionare bustine di zucchero o bicchieri di birra?), la computer chess ha avuto un ruolo importante nella storia e nello sviluppo dell'intelligenza artificiale. I giochi da tavolo sono un dominio ideale per esplorare le capacita computazionali di un computer: le regole sono fisse, lo scopo del problema ben individuato, e l'interazione tra i giocatori ben definita. Le tecniche sperimentate in questo ambito trovano poi più ampia applicazione in altri aree di ricerca: tenendo sempre conto che siamo molto lontani dai livelli descritti in romanzi o film. L'intelligenza artificiale scotta, a mio modo di vedere, un forte handicap dovuto ai film e alla non conoscenza dei limiti tecnologici attuali; la gente comune pensa che le possibilità attuali di un computer siano pressocchè illimitate. Perfino Microsoft sovrastimò le capacità di riconoscimento vocale oggi disponibili finchè, dopo alcuni anni di ricerca, si rese conto che l'idea di creare un sistema operativo che ne facesse largo uso e che da alcuni anni veniva propagandato da Gates in persona come il più importante obiettivo possibile per l'azienda, era inattuabile. Eppure molti pensano: un P.C. è in grado di simulare una scossa tellurica su una struttura e calcolarne i risultati, come fa ad esemepio a non capire esattamente i contorni di un'immagine? Perchè sono entrambi forme di intelligenza e per quanto il riconoscere i contorni di una immagine sia per noi più intuitiva non è detto che sia più semplice da far apprendere ad una macchina. Questo perchè il concetto di intelligenza in se è un concetto difficile da definire. La stessa definizione letterale di intelligenza artificiale è fonte di discussione. Senso comune vuole che intelligenza sia la risoluzione di un qualche complesso problema matematico, ma l'interpretazione e il riconoscimento di un testo scritto (usata negli O.C.R.), il capire se una torta è cotta o meno, se un frutto è marcio, l'associazione di idee, la comprensione di una musica, non sono esse stesse manifestazioni di intelligenza?
Il "test di Turing" è un test inventato dal grande matematico Alan Turing e descritto in un articolo dal titolo "Computing machinery and intelligence". Turing era dell'idea che si potessero creare macchine capaci di mimare tutti i processi del cervello umano: su questo articolo si basa tutto lo studio moderno sull'intelligenza artificiale. Il test consiste in un gioco, noto come gioco dell'imitazione, a tre partecipanti: un uomo A, una donna B, e una terza persona C. Quest'ultimo è tenuto separato dagli altri due e tramite una serie di domande deve stabilire qual è l'uomo e quale la donna. Dal canto loro anche A e B hanno dei compiti: A deve ingannare C e portarlo a fare un'identificazione errata, mentre B deve aiutarlo. Poiché C non possa disporre di alcun indizio (come l'analisi della calligrafia o della voce), le risposte alle domande di C devono essere dattiloscritte o similarmente trasmesse. Il test di Turing si basa sul presupposto che una macchina si sostituisca ad A. In tal caso, se C non si accorgesse di nulla, la macchina dovrebbe essere considerata intelligente, dal momento che - in questa situazione - sarebbe indistinguibile da un essere umano. Gli studi che partirono da queste idee si basavano sulla ricerca di un automatismo nella creazione di un'intelligenza meccanica. L'approccio seguiva essenzialmente una ricerca euristica basata su tentativi ed errori oltre che investigare su tecniche di apprendimento efficaci. Oggi, questo approccio è stato superato. Si è capito che nell'evoluzione delle macchine intelligenti si è cercato di saltare intere generazioni di macchine più modeste, ma in grado di fornire preziosi stimoli per capire come gli organismi biologici interagiscono con l'ambiente attraverso la percezione, la locomozione, la manipolazione. Adesso c'è chi segue un approccio più coerente: prima di insegnare a un robot a giocare a scacchi, è necessario insegnargli a muoversi, a vedere, a sentire. Insomma, anche nel robot intelligente occorre creare una "infanzia", che gli consenta di mettere a punto autonomi processi di apprendimento e di adattamento all'ambiente in cui si troverà ad agire. È necessario quindi riprodurre due evoluzioni parallele: una che da costrutti semplici porti alla produzione di macchine sempre più complesse e sofisticate, un'altra, tutta interna alla vita del singolo automa, che lo faccia crescere intellettualmente, dandogli modo di apprendere, da solo o sotto la supervisione umana, le nozioni necessarie al suo compito ed alla formazione di un'autonomia decisionale.
La storia dell'I.A. è tortuosa, piena di ripensamenti e "passi indietro", ma le sue applicazioni pratiche investono la nostra vita più di quanto si creda; se pensassimo che l'invasione del computer nel nostro lavoro quotidiano si limiti a Office, Autocad e Photoshop, ci sbagliamo di grosso: i sensori disseminati nelle automobili, nei frigoriferi, negli ascensori, i bancomat, i sistemi di gestione delle rotte aeree, i modelli di calcolo delle previsioni borsistiche o meteo sono i primi esempi di computer non percepito che mi vengono in mente. Già è un problema di percezione, difatti da una iniziale sopravvalutazione delle possibilità dei computer si è arrivati ad una sostanziale sottovalutazione o scetticismo e all'idea che un computer è soltanto una grande e veloce calcolatrice che non può aiutare l'uomo in scenari più delicati. Penso invece che i progessi fatti (per quanto limitati rispetto alle premesse iniziali) potrebbero permettere usi decisivi e innovativi anche in ambiti considerati "distanti" come ad esempio il restauro, la fruizione dei beni culturali, l'archeologia e la progettazione architettonica...
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