Voltaire si rivolterà nella tomba...
Per dirla con le parole di uno dei professori firmatari della famosa lettera contro Benedetto XVI: "Mi pare che qui siamo cascati in una bella trappola"! "Ricordano, i professori, che la lettera è stata firmata a novembre, che doveva essere parte di un confronto interno alla Università, e che nessuno avrebbe mai davvero immaginato che la cosa prendesse questa piega. Cattiva immaginazione, cattivo senso politico, il loro? Davvero potevano pensare che anche solo l'uso di un termine come «improvvido» riferito al Papa non si sarebbe trasformato in un affare nazionale?" [Lucia Annunziata] Spero solo che almeno capiscano che il fatto che abbia preferito non presentarsi, in un posto in cui era stato invitato permetterà se non a lui, ad altri "di sfruttare questa censura e di amplificarla allo scopo di rendere ancor più salato il conto da presentare alle impaurite compagini governative, agli scalpitanti candidati alla successione del governo in carica. " [Ezio Mauro] Faccio mio il pensiero di Sofri... Se l'inaugurazione dell'anno accademico alla Sapienza di Roma fosse stata solennemente affidata a una lezione di Benedetto XVI, avremmo assistito a una meravigliosa cerimonia medievale in costume. Se la visita di Benedetto XVI alla Sapienza nel giorno dell'inaugurazione dell'anno accademico fosse impedita o cancellata, assisteremmo a una meravigliosa recita di ottocentismo postmoderno. In questa vicenda tanto romana, o almanco italiana, si è tentati per una volta di evocare la formula vietissima degli opposti estremismi, e comunque di un gioco di specchi. All'origine della Sapienza romana, si sente rivendicare, c'è la Bolla del 1303 di Bonifacio VIII. In verità, tutte le grandi università storiche (prima della odierna proliferazione, alla quale può bastare il segretario di un sottosegretario) ebbero origine da una Bolla papale, salva Bologna, che ebbe una nascita più laica e popolare, e Carducci ne fissò l'anno al 1088 solo per una convenienza municipale, incertezza che, si è osservato maliziosamente, consente alle autorità di protrarne le celebrazioni anniversarie a piacere. Dall'altra parte, si rinfaccia alla Chiesa la condanna di Galileo - 1633; o una frase dell'attuale pontefice pronunciata, a giustificazione del processo a Galileo, nel 1990. Ora, si potrebbe avvertire gli uni e gli altri che il 1303 è piuttosto lontano, e il 1633 anche, e lo stesso 1990 non è poi così vicino da farne una ragione di estradizione del Papa dall'università, che si chiama così perché vuol essere laicamente universale, e aperta a tutti. Un ulteriore paradosso fa sì che il giudizio dell'allora, nel 1990, cardinale Ratzinger fosse contenuto in una citazione di Paul Feyerabend, estratta lei stessa dal contesto; e Feyerabend è, nella filosofia della scienza, un esempio spinto di anarchia relativista, polemico con la sicurezza scientista per le ragioni opposte a quelle di un Papa in generale e di questo Papa in particolare. Affidare l'inaugurazione dell'anno accademico a un Papa in generale, e a questo Papa in particolare, era suppergiù come incaricare un professore di fisica delle particelle di cantar messa in Vaticano la notte di Natale. Insorgere contro l'ingresso del Papa alla Sapienza è suppergiù come scambiare Benedetto XVI per Luciano Lama, e il 2008 per il 1977, o il 1870. La Sapienza romana accolse già Paolo VI e Giovanni Paolo II. Ma quelli erano meno oscurantisti di questo, si dirà. Può darsi, ma l'invito rivolto da una pubblica istituzione non distingue fra questo e quel Papa, se non nel merito, nel dialogo e nella discussione. Giovanni Paolo II, si dirà, era soprattutto pastore, questo resta dopotutto professore, dunque più irritante il suo razionalismo fideista agli occhi di colleghi e studenti: ma resta il fatto che di fede e ragione, come di tutto, la cosa migliore è discutere, a casa propria e altrui, e nelle pubbliche aule e piazze, tanto più quando le piazze non vogliano più, e comunque non possano, essere usate per metterci al rogo i frati di genio. Nel settembre del 1989 Karol Wojtyla, in visita pastorale alla diocesi di Pisa, fu ospite della Sapienza della città in cui nacque Galileo, e insegnò da giovane. Fin dal suo arrivo in città ricordò la grandezza di Galileo, e nell'aula magna della Sapienza improvvisò un bel discorso dei suoi sulla grandezza e la responsabilità della scienza. Il 2009 è stato dichiarato, in memoria delle prime osservazioni che avrebbero condotto alla dimostrazione della concezione copernicana, anno galileiano, e in Parlamento aspetta una legge che dovrebbe patrocinarne lo svolgimento a Pisa, Padova e Firenze: c'è da sperare che l'aria che tira non faccia derivare questa felice circostanza verso una guerretta di religione e scienza. Nel primo ‘900 fu l'arcivescovo cardinal Maffi, astronomo anche lui, a proporre di erigere a Pisa un monumento pubblico a Galileo. Quando Giovanni Paolo II visitò la Sapienza, uno studioso come Adriano Prosperi non si sognò di formulare obiezioni, e piuttosto raccomandò di aprire finalmente l'archivio del Sant'Uffizio, raccomandazione già rivolta da Carlo Ginzburg, e finalmente accolta. Non sarebbe male se, accogliendo calorosamente o solo cortesemente Benedetto XVI, come si deve, gli si rivolgesse una raccomandazione sulla Biblioteca Vaticana chiusa per almeno tre anni, nella costernazione degli studiosi del mondo intero. Io non saprei mai obiettare all'invito al Papa ad ascoltare e dire la sua in qualunque assemblea italiana, dopo aver auspicato che Giovanni Paolo II lo facesse alle Camere riunite e addirittura che parlasse lì di un tema che mi stava specialmente a cuore, e riguardava la responsabilità dello Stato italiano. Dalle carceri italiane partì allora una cartolina che portava stampata la frase: "Di' soltanto una parola". La questione, coi Papi come con ogni altra persona, è infatti questa: quale parola. Non il luogo, la cattedra o il marciapiede, dal quale viene pronunciata. La discussione fra fede e scienza, e la demarcazione dei rispettivi territori, e il confronto di ambedue col potere, sono la cosa più seria di questo mondo, a condizione di avvenire, e non di essere reciprocamente elusi o peggio interdetti. Tra i docenti firmatari dell'appello contro la visita del Papa alla Sapienza figurano nomi dei più autorevoli e liberi scienziati italiani, persone di cui ciascuno di noi dovrebbe sentirsi responsabilmente scolaro. Che si siano sentiti tenuti a obiettare all'ospitalità fatta al Papa dentro la loro università è un segno di debolezza, o di forza, che è lo stesso. Forse la Chiesa dovrebbe esserne meno sorpresa di tutti, e chiedersi quanto le tentazioni di censura o di proibizionismi anticlericali debbano al suo proprio oltranzismo. Dopotutto, Galileo è lontano e benedetta la sua memoria, ma la lezione di amministrazione urbana impartita dal Papa, magari per penna interposta, al sindaco di Roma è affare dell'altro giorno [Adriano Sofri]
Io penso che il confronto ed il dialogo vengano sempre prima di ogni altra cosa. Sono a favore della laicità dello stato, non sento di appartenere al mondo della chiesa cattolica, pur non ritenendomi atea. Premesse indispensabili per far capire che non sono una fan del papa, e ancor meno di questo papa. Eppure credo che quella de La Sapienza sia un'occasione mancata. Non credo che il papa fosse stato invitato a celebrare una messa o per dare una benedizione... Credo che sarebbe stato un modo per instaurare un dialogo; e anche se come risultato non si sarebbe arrivati ad un punto d'incontro, penso che sarebbe stato un buon esempio di democrazia. Dopo tutto se si è sicuri delle proprie idee e del proprio credo, perché temere il confronto? Certe volte ci si nasconde dietro lo stendardo della laicità per censurare le voci non laiche: mi chiedo fino a che punto si possa continuare a parlare di laicità in casi del genere. Mi sembra che si tratti più che altro di paura.
RispondiEliminaLe parole di Sofri non le conoscevo, ma le trovo giuste, molto più sensate di altre.
Io continuo ancora a stupirmi del fatto che in Italia ogni cosa che riguardi il papa diventi una questione di stato... Questo sì, mi sembra davvero eccessivo.
sottoscrivo (è un po' un controsenso che i cosiddetti paladini delle libertà vogliano chiudere la bocca al papa rifiutandosi anche solo di ascoltare uno che la pensa "così". io non condivido certe posizioni della chiesa, non sono nemmeno religiosa ma sono convinta anche un discorso conservatore può stimolrare il dibattito, che una lezione non significa dettar legge, che il papa vada comunque rispettato sia per il suo ruolo pubblico che come studioso).
RispondiEliminaCiao Nicola,
RispondiEliminami sono accorta solo ora che mi hai aggiunto ai tuoi link... Grazie! :)
Buona giornata
Sono grossomodo d'accordo con voi. Credo che nemmeno i 60 professori volessero che la situazione arrivasse a questo punto, la lettera era una sorta di circolare interna per il Rettore che è stato quantomeno improvvido ad invitare il Papa senza consultare nessuno. La faccenda è stata strumentalizzata ed è sfuggita loro di mano, anche le motivazioni sembrano francamente puerili (una frase su Galileo detta 18 anni fa, andiamo). Resta da fare capire che non è un Papa che parla ad una università il problema, quanto l'ingerenza di settori della chiesa nella vita politica del paese: ma non la semplice espressione di idee su aborto o AIDS o diritti gay (possono e devono farlo), quanto la pressione politica bipartisan su deputati e senatori della repubblica. Un occasione mancata non tanto di dialogo, quanto di laicità, mi aspetto che nessuno dei firmatari della lettera voti, alle prossime elezioni, per il partito della Binetti...
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