Ne con Schifani ne con Travaglio
Esiste un tipo di giornalismo che si chiama di informazione. Consiste nel raccontare un fatto nella maniera più obiettiva possibile, ma soprattutto racconta una verità. Non è facile, ma un metodo c'è si usano delle fonti plurime, verificate, si trovano dei nessi, si guarda al contesto e anche allora, spesso non si è certi di dire tutta la verità, ma in buona fede si può dire di non avere mentito.
Esiste un tipo di giornalismo che si chiama di opinione. Consiste nel dare una propria visione di un fatto, nel proporre una idea, nel criticare un personaggio o una sua azione. Il giornalismo d'opinione richiede però la massima trasparenza con i lettori: chi scrive deve dichiarare apertamente che le sue sono opinioni e non verità, non deve mai spacciare le sue opinioni per informazione, deve schierarsi e non nascondere le proprie idee spacciandole per informazione.
Entrambi hanno pari dignità e importanza, ma in Italia purtroppo non sono sempre distinguibili. Partendo dal fatto che ogni autore ha una propria opnione, i giornali inglesi cercano di rimanere obbiettivi separando nettamente il fatto dal commento; durante le campagne elettorali, i giornali americani si schierano apertamente con questo o con quel candidato e lo dichiarano anche dgli editorialisti di punta. In Italia, quando alle penultime elezioni il Corriere si schierò apertamente con Prodi si parlò di scandalo, come se leggendo Repubblica, l'Unità o il Giornale non si capisse da che lato parteggiassero. Passando dal serio al faceto, un giornalismo che spesso manca di obiettività è quello sportivo; chi scrive si lascia trasportare dal proprio tifo e non riesce ad essere obiettivo, le polemiche di Calciopoli o anche le ultime sono un esempio.
Marco Travaglio, durante la trasmissione "Che tempo che fa" ha sostenuto che "dagli anni Novanta, Renato Schifani ha intrattenuto rapporti con Nino Mandalà il futuro boss di Villabate" e in seguito alle proteste nate ha replicato: "I fascistelli di destra, di sinistra e di centro che mi attaccano, ancora non hanno detto che cosa c'era di falso in quello che ho detto". Travaglio omette (involontariamente?) di dire che quel rapporto risale al al 1979 e che soltanto nel 1998, più o meno venti anni dopo, quel Mandalà viene accusato di mafia. Basta questo però per persuadere un ascoltatore in buona fede che il presidente del Senato sia in odore di mafia o almeno amico di mafiosi. Questo dimostra come proporre fatti ad un pubblico inconsapevole, senza un contesto senza approfondirne o tacendone delle parti sia pericoloso. Quando afferma: "I giornalisti non scrivono che Schifani ha avuto delle amicizie con dei mafiosi, perché non lo vuole né la destra né la sinistra, ma io faccio il giornalista, devo raccontarlo" dimentica che quello che sta facendo, il suo approccio è tutto trane che giornalismo d'informazione. Vale la liberta di parola, ma non se ne deve abusare, nascondendosi dietro al fatto che le cose che lui va ripetendo sono scritte su dei libri: perchè le lontane "amicizie pericolose" di Schifani furono raccontate per la prima volta, e ripetutamente, da Repubblica nel 2002, riprese dall'Espresso, nel 2004 in "Voglia di mafia", tre anni dopo in "I complici". Se dei legami dubbi di Schifani non si è più parlato è perchè lavoro di ricerca indipendente non ha offerto alcun elemento di verità:quasi trent'anni fa Schifani è stato in società con un tipo che, nel 1994, fonda un circolo di Forza Italia a Villabate e, quattro anni dopo, viene processato come mafioso.
Il presentare la vicenda come ha fatto Travaglio non è giornalismo d'informazione, come si autocertifica. E' un subdolo giornalismo d'opinione che mai si dichiara correttamente come tale al lettore/ascoltatore, ingannandolo. E la cosa più grave è che ormai sta diventando una costante (sia a destra come a sinistra): "L'operazione è ancora più insidiosa quando si eleva a routine. Diventata abitudine e criterio, avvelena costantemente il metabolismo sociale nutrendolo con un risentimento che frantuma ogni legame pubblico e civismo come se non ci fosse più alcuna possibilità di tenere insieme interessi, destini, futuro ("Se anche la seconda carica dello Stato è oggi un mafioso..."). E' un metodo di lavoro che non informa il lettore, lo manipola, lo confonde. E' un sistema che indebolisce le istituzioni. Che attribuisce abitualmente all'avversario di turno (sono a destra come a sinistra, li si sceglie a mano libera) un'abusiva occupazione del potere e un'opacità morale. Che propone ai suoi innocenti ascoltatori di condividere impotenza, frustrazione, rancore. Lascia le cose come stanno perché non rimuove alcun problema e pregiudica ogni soluzione. Queste "agenzie del risentimento" lavorano a un cattivo giornalismo. Ne fanno una malattia della democrazia e non una risorsa. Si fanno pratica scandalistica e proficuamente commerciale alle spalle di una energica aspettativa sociale che chiede ai poteri di recuperare in élite integrity, in competenza, in decisione. Trasformano in qualunquismo antipolitico una sana, urgente, necessaria critica alla classe politico-istituzionale. " scrive D'Avanzo su Repubblica (mica il Giornale!).
D'altra parte si può essere in accordo con Schifani che non ha mai ritenuto necessario fare di sua sponte chiarezza su quel rapporto? E con Fazio che invita Travaglio ben sapendo il tenore che certe dichiarazioni possono avere (come del restofa Santoro invitando Sgarbi), per poi dissociarsene?
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