Mi accingo ad eseguire l'ennesimo trasloco in un nuovo appartamento. Trasloco temporaneo, per consentire i lavori di ristrutturazione della bettola in cui attualmente alloggio. E' una sensazione strana percorrere una casa vuota: riesci a leggere non solo la vita di chi ti ha preceduto, ma anche come si svolgerà la tua. Adocchi un angolino particolarmente illuminato di fronte una finestra e pensi che li metterai una bella scrivania per leggere e guardare fuori. Osservi la distribuzione delle stanze, come si connettono, come è possibile renderle indipendenti o accorparle e ti rendi conto che tutto questo ha influenza su come condurrai la tua vita, anche se per poche settimane. Il legame che si crea tra una casa e chi la abita è profondo e indissolubile, per questo ho sempre pensato che il progetto di una abitazione, benché semplice in termini di strutture e dimensioni, è forse uno dei temi più complessi che l'architettura pone. Ricorda, per certi versi, il classico "tema sulle vacanze estive" che ci attendeva puntuale a scuola: compito che poteva benissimo essere lasciato alle elementari come alle superiori, ma che facendo leva sulla diversa maturità dell'alunno prevedeva approcci diversi per la sua composizione. Così è la casa: sia essa villa o appartamento, è solo la sensibilità del progettista che fa la differenza: delineando una corretta distribuzione; rispondendo in pieno alle esigenze e alle richieste del committente; anticipandolo nelle intenzioni, suggerendo nuovi modi di abitare; trasmettendo emozioni. Capii questa cosa, quando ebbi modo di studiare Villa Ortolenghi di Carlo Scarpa.
Scarpa è sicuramente una delle figure più particolari dell'architettura moderna italiana, sebbene abbia studiato architettura all'Accademia delle Belle Arti, non ottenne l'iscrizione all'Albo Professionale, mancanza che gli procurò diverse diatribe giudiziarie; solo molto più avanti ricevette la laurea honoris causa in Architettura, benché avesse già ricoperto la carica di rettore dell'Istituto Universitario di Architettura di Venezia dal 1971 al 1974! Tra l'altro Scarpa è uno dei pochi maestri moderni che abbia lasciato traccia di sé a Palermo, avendo curato la trasformazione di palazzo Abatellis. Descrivere Villa Ottolenghi non è semplice, una prima occhiata alla sua planimetria lascia intendere già l'originalità di certe soluzioni. Ad esempio non esiste una facciata principale, ne è semplice determinare una forma o delle geometrie di fondo; il lavoro di Scarpa si basa molto sulla percezione visiva, su ciò che il visitatore deve e non deve vedere durante la permanenza in una sua architettura. Insomma quasi più un regista che un progettista. Forse quindi è più facile descriverla immaginando di visitarla.
Anzitutto collochiamola dal punto di vista cronologico e geografico; villa Ottolenghi costruita tra il 1974 e il 1979, essendo Scarpa morto nel 1978 e avendo l'abitudine di modificare continuamente in cantiere i propri lavori, rimandando molte scelte all'ultimo minuto ("come posso decidere la bontà di una forma, di una sagoma, di una connessione se non la vedo?"), occorre precisare che alcune soluzioni come il coronamento dei camini, gli infissi nella stanza dei ragazzi, la colorazione del camino e il suo completamento sul tetto sono postume e da attribuire ai suoi collaboratore Giuseppe Tommasi e Guido Pietropoli, i quali ovviamente hanno fatto tesoro degli schizzi e delle comunicazioni verbali del maestro; la Villa si trova a Bardolino vicino Verona ed è situata su un terrazzamento con vigna lungo il pendio che scende dalla riva del lago di Garda.
La casa è posta all'estremità dell'appezzamento per non intaccare il vigneto, incuneandosi nel terrapieno, risultando quindi in parte ipogea, per rispettare la volumetria prevista dalla normativa comunale. La casa si configura come il prolungamento del pendio, interrotto dal terrazzamento. Il fulcro concettuale di tutta l'opera sono le nove grandi colonne che perimetrano il soggiorno e sorreggono la copertura, emergendo sul tetto. Le parti del fabbricato sembrano scorrere e slittare leggermente attorno alle cerniere delle colonne, conferendo una minore rigidità agli allineamenti ortogonali. Dalla strada che segue il ciglio superiore del terrapieno, resta in vista soltanto il tetto, immaginato da Scarpa come un "breve spazio di terrapieno accidentale, su cui si potrà anche camminare". La fascia in corrispondenza dello sbancamento è ricoperto da una superficie erbosa; l'altra parte della copertura, rivestita in cotto deriva dalla giustapposizione di piani triangolari diversamente inclinati e in corrispondenza dei vertici affiorano le sommità delle colonne.
Una scaletta tortuosa scende nella spaccatura, da cui prendono luce gli ambienti sotterranei, e collega la strada con con un passaggio che circonda il settore interrato dell'edificio, quasi come una trincea. Il caminnamento angusto e le superfici curve che interrompono il muro di sostegno creano accelerazioni e deformazioni prospettiche che l'autore paragona alle prospettive sghembe di tante predelle protorinascimentali. Dal vestibolo si passa in un percorso interno che si affaccia sul soggiorno disimpegnando le camere ipogee, immerse nella penombra. Il "cuore della casa" è uno spazio fluido, scandito dalla successione delle colonne , dalla quinta scenografica dei contenitori, del camino del blocco bagno. Non ha limiti ben definiti: il soffitto si piega parallelamente alle inflessioni del tetto, il pavimento è organizzato in dislivelli che seguono il pendio, le bucature sono allineate in maniera tale da consentire visuali che penetrano negli ambienti più distanti o che attraversano la casa da una parte all'altra; le superfici riflettenti delle vetrate, degli specchi d'acqua (elemento compositivo tipico dell'architettura di scarpa), moltiplicano le visioni e forniscono immagini del lago intravisto tra gli alberi, infatti i setti murari e le griglie degli infissi incorniciano l'ambiente circostante non rivolgendosi però verso il lago, come tutte le residenze turistiche nei dintorni, ma verso la vigna e l'oliveto che diventano protagonisti. I singoli elementi non risultano isolati, pur mantenendo una potenziale autonomia formale, non perdono di vista il loro compito nel gioco d'assieme, basti pensare al pavimento che seppur interrotto da continui dislivelli e reso uniforme dalla continuità del materiale: graniglia di cemento lucidata, decorata con frammenti di cotto che disegnano una elegante ragnatela. Per l'intonaco esterno scarpa preferisce rinunciare all'impiego di tecniche e materiali costruttivi locali, ma esalta il genius loci del luogo utilizzando un intonaco granuloso al quale si avvinghiano i rampicanti.
La ricercata commistione tra natura e architettura è una costante nel lavoro di Scarpa, prova ne è la famosa frase attribuitagli: "Se vuoi essere felice per un'ora, ubriacati. Se vuoi essere felice per tre giorni, sposati. Se vuoi essere felice per una settimana, uccidi un maiale e dai un banchetto. Se vuoi essere felice per tutta la vita, fatti un giardino."
Se il lavoro di questo autore vi ha incuriosito, per maggiori informazioni potete consultare il bellissimo libro "Carlo Scarpa. Villa Ottolenghi" di Francesco Dal Co, il sottoscritto si riserva anche di fare notare che il libro sarebbe un regalo gradito!
Le foto sono tratte dalla fototeca del CISA Andrea Palladio, i diagrammi sono opera di Addison Godel e sono tratte da Flickr.
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