Zugzwang
Esiste una parola tedesca che viene usata nel mondo degli scacchi: Zugzwang. Significa 'obbligato a muovere'; si usa quando si vuole descrivere la situazione di un giocatore che qualunque mossa faccia lo porta irrimediabilmente a indebolire la propria posizione, insomma ha a disposizione solo mosse inutili se non addirittura dannose. A quanti di noi capita di ritrovarsi in una situazione di stallo, in cui non si vede via di uscita o di avanzamento? In cui impotenti non si sa che fare o peggio ancora si intuisce che per "andare avanti" rischiamo di perdere quel poco che abbiamo conquistato? A quanti capita di dovere ricominciare dopo una forte delusione, sia essa affettiva o lavorativa e non sapere che direzione prendere? Se insistere con il passato o dimenticarlo totalmente. Se non a noi (e siamo fortunati) sarà capitato a qualche nostro amico. I consigli (dati e ricevuti) a questo punto sono i soliti: dai tempo al tempo, non mollare, cerca di andare avanti. Il punto è che ognuno di noi sa che questi consigli sono pieni di buon senso, eppure non ci soddisfano: non ne vediamo l'utilità immediata, non ci aiutano a lenire il dolore nell'immediato o a darci speranza.
Eppure.
Da qualche giorno un’amica mi racconta delle sue peripezie con il cubo di Rubik. Penso che non ci sia bisogno di presentazione: è un gioco/rompicapo inventato negli anni 80 dall'architetto e designer ungherese Erno Rubik e che divenne subito popolarissimo; recentemente la sua fama è riesplosa in seguito al film di Muccino "La ricerca della felicità" con Will Smith, nel film il protagonista deve la sua fortuna proprio alla capacità di risolvere velocemente il famoso rompicapo. In effetti in questi ultimi tempi i venditori ambulanti che bazzicano per i locali palermitani hanno aggiunto alla propria mercanzia proprio il famoso rompicapo e non è difficile vedere tavolini in cui gli avventori sono impegnati, oltre che a sorseggiare la propria bevanda, a giocare con il famigerato cubo. Il cubo mi ha fatto venire in mente le considerazioni di un vecchio amico che non vedo da tempo: "… è come nella vita: quando stai per completarlo mettendo a posto l‘ultima tessera, ti accorgi che per farlo lo devi rompere, devi smontare tutto quello che avevi fatto prima per poi completarlo." Mi rendo conto che suona un po' come la "vita è come una scatola di cioccolatini" di Gumpiana memoria, ma per quanto balzano fosse il mio amico, ed è strano forte, ricordo una sera in cui mi impegnò in una discussione su Batman, Superman e il problema etico (non ho amici standard, lo sapete…), trovo il paragone quantomeno calzante. Se ci si blocca, bisognerebbe trovare il coraggio di mettersi in discussione, fare qualche passo indietro e ricominciare, anche a costo di perdere quelle cose che si sono ottenute, ma che inevitabilmente non ci fanno progredire. Non è facile, per nessuno, perchè non si rinuncia facilmente all'idea di riottenere ciò che si è perso, tantomeno si è disposti a perdere ciò che si è ottenuto. Probabilmente perchè nel momento in cui metti tutto te stesso nella realizzazione di un desiderio che sia un progetto di vita o di lavoro non importa, investendo tempo, denaro, affetto, emozioni, entrando in una sintonia quasi spirituale con esso, l'idea che ciò che volevamo realizzare è, effettivamente, irrealizzabile ci sembra assurda. E non ce ne capacitiamo. Eppure le nostre energie sono ancora lì, forse la miglior cura è la strategia del cubo Rubik, tornare indietro e ricominciare, investendo le nostre energie in un altro progetto: la rabbia, il dolore, la nostalgia diventeranno la nostra forza.