mercoledì 20 febbraio 2008

Vivere alla giornata


L’altra sera, mentre resistevamo al freddo e al vento sotto una tenda sorseggiando una birra e mangiando un kebab, con un'amica ascoltavamo alcune vicissitudini delle persone che erano uscite con noi. Poco dopo, forse perché il battere dei miei denti trasmetteva il mio pensiero come il morse, stando bene attenta a non farsi sentire, la mia amica commentava:"certo che [noi giovani] siamo proprio patetici". Non aveva torto, confermavo che alla mia età mio padre era già sposato, lavorava come mia madre e io ero già nato. Cosa rende tanto diverse la nostra generazione da quella dei nostri genitori? Davanti alla complessità dell’argomento stavolta non si può spiegare il tutto con la classica frase "i tempi sono cambiati". Chi ha dai 25 ai 35 anni, oggi, non si reputa ancora in grado di compiere scelte definitive, non fa progetti, si illude di non aver bisogno di stabilità, di qualunque forma essa sia, affettiva o economica. Ma ciò che è più grave non sente l’obbligo di preoccuparsi del proprio futuro, cullandosi nell’illusione di avere tutto il tempo che vuole. L’idea di vivere un periodo relativamente lungo, senza porsi grandi problemi, nel cosiddetto "vivere alla giornata", può sembrare un’esperienza piacevole; in realtà, invece, spesso è proprio in questa fase dell’esistenza che nascondo grandi difficoltà psicologiche. I genitori oggi non esortano in alcun modo i propri figli a cercare una sistemazione, finire gli studi o farsi una famiglia. Un tempo l’ingresso nel mondo del lavoro segnava l’inizio della propria autonomia; oggi, purtroppo, si vive nel precariato, e risulta difficile tagliare il cordone ombelicale dai genitori, che, d’altro canto, accettano volentieri il ruolo di "padre amico" o "madre amica" alimentandone la dipendenza, provvedendo, fra le altre cose, alle spese quotidiane. La tendenza a rimandare a un domani incerto e indefinito la soluzione di problemi di fatto ineludibili è la caratteristica che accomuna non solo i giovani, ma anche i vari governi succedutisi in Italia nel corso degli anni. Spostatici in un altro locale, fortunatamente al chiuso, avendo vagato però prima alla ricerca dello stesso, noto, grazie anche all’aumento di temperatura che da li a poco sarebbe diventata febbre e che eccitava Marione nella sua attività, una serie di stampe raffiguranti il Mago di Oz. Come Dorothy mi sembra che si vaghi tutti insieme, seguendo la strada dei mattoni gialli, alla ricerca di una fantomatica città di Smeraldo. Come nel libro però temo che una volta giunti lì ci si accorga che il mago non era poi un vero mago e il cervello, il cuore e il coraggio erano stati sempre nello spaventapasseri, nell’uomo di latta e nel leone. Insomma se non si fossero scossi dal loro immobilismo non avrebbero capito di possedere già le doti che anelavano. Se quella dei trentenni di oggi è la prima generazione dal dopoguerra che rischia di stare peggio della generazione che l'ha preceduta, è perché in Italia l'immobilismo si è accompagnato al familismo e sovrapposto alla precarietà, privando di un futuro proprio coloro che dovrebbero essere la linfa vitale di un paese: i giovani. E questo è anche colpa nostra perchè in un modo o nell'altro abbiamo trovato il nostro tornaconto.

1 commento:

  1. Verissimooooooooo!!!
    La cosa preoccupante è che non solo si vive alla giornata dal punto di vista emotivo-sentimentale, ma anche e soprattutto economico. Tutto questo stare a lamentarsi del precariato è del tutto inutile se comunque non si pensa a rimboccarsi le maniche e trarre il maggior profitto possibile da quel poco che precariamente si guadagna. Quando ho iniziato il mio primo lavoro (collaborazione a progetto a tempo ultra determinato!!!)post-laurea ho subito pensato, visto che dovevo aprire un c/c per l'accredito dello stipendio (ho scelto il più economico del momento), di aggiungere un piccolissimo (microscopico quasi) fondo di pensione integrativa. Verso poco al mese, ma intanto tra un contratto e l'altro riesco a mantenerlo. Ho pure deciso di riscattare gli anni di laurea per ottenere dei contributi inps in più, e quello è davvero un grosso sacrificio per il piccolo introito che ho al momento. Ma comunque lo faccio perchè penso al mio futuro, sacrifico i miei viaggetti e spese di media entità per poter disporre di un minimo di rendita domani. E ne aprofitto adesso perchè se in questo periodo le mie entrate finissero improvvisamente, i miei avrebbero ancora la possibilità di soccorrermi. E nonostante questa consapevolezza sono comunque riuscita fino ad ora a gestire questi investimenti in modo autonomo. Mi chiedo: quanti ci pensano come me? Oltre a lamentarsi di lavorare in nero o di avere contratti a termine, quanti poi pensano a crearsi comunque una, per quanto piccola, base economica? Quanti pensano veramente al domani? A parte qualche raro caso, vedo i miei coetani che stanno lì a cercare l'introito per spenderlo come meglio credono e basta, senza pensare a quello che potrebbe capitare loro dopo i quarant'anni. Come se i propri genitori dovessere campare in buona salute per i prossimi 100 anni prendendosi cura di loro e foraggiandoli per sempre.

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